Jeff Beck – Beck’s Bolero

Questo post nasce ad agosto 2021 come un toot su mastodon in cui raccontavo un aneddoto divertente su questo gran pezzo di storia del rock. Sono passati cent’anni ma lo ricordo ancora bene. Faceva un caldo della madonna, ero chiuso in casa costretto dal lavoro e Beck’s Bolero usciva insistentemente dalle casse. Sul serio, non riuscivo a smettere di ascoltarlo, tanto il brano quanto il disco che gli gira intorno. Armato di connessione e determinazione, mi misi ad approfondire. Iniziai così a leggere la storia, le interviste ai protagonisti, le recensioni, ne rimasi così invischiato che a un certo punto decisi che avrei dovuto scriverne di più, distendendo il toot sulle lunghezze del blog. Ma il lavoro ruba tempo, rosica spazi: presi appunti, apparecchiai una bozza ma poi mi arenai. Lo riprendo in mano oggi dopo aver appreso della morte di Jeff Beck, e lo pubblico come sentito omaggio a uno dei più grandi chitarristi della storia. Addio Jeff.

Parliamo dunque di Beck’s Bolero, che per la maggior parte degli esseri umani attualmente viventi è l’ottava traccia (al limite la terza del lato B, se vi state rigirando tra le mani un disco di vinile nero) di Truth, il primo album solista di Jeff Beck. L’anagrafe sussurra luglio 1968, ma non dice tutto. Il bolero viene da più lontano, essendo stato partorito durante una leggendaria sessione di registrazione di due anni prima; in sede di inserimento nell’album viene editato e remissato in stereo, una roba che a quei tempi è ancora avanguardia (giuro). Corre l’anno 1966, e Beck è ancora il chitarrista degli Yardbirds; vi è entrato per sostituire il dimissionario Clapton (vaffanculo Clapton) su raccomandazione dell’amico Jimmy Page, e con loro, in poco più di un anno, ha contribuito a definire il vocabolario del rock psichedelico degli anni a venire (si ascoltino Heart Full of Soul, Evil Hearted You, Still I’m Sad, Shapes of Things e You’re a Better Man Than I). In questo frangente, però, Jeff è stufo degli Yardbirds e si lamenta in continuazione. Così viene convinto dal produttore e dal manager del gruppo a registrare i suoi primi pezzi da solista: per distrarsi, ma anche per dare una spinta alla carriera della band. È così che nasce la sessione di registrazione di Beck’s Bolero.

È il maggio del 1966 e nel mondo del blues che si sta indurendo non è ancora successo niente (o quasi). Gli esperimenti più avanzati sono quelli dello stesso Beck in casa Yardbirds, di John Mayall con i Bluesbreakers affiancati da Eric Clapton (il quale confluirà nei Cream solo qualche mese più tardi), degli Who. Hendrix è ancora un venticello che spira al Greenwich Village e la tempesta è di là da venire. Sono ancora lontani o lontanissimi l’esplosivo esordio dei Blue Cheer, quello dei Led Zeppelin, la mark II dei Deep Purple, il Sabba Nero e tutto il cucuzzaro. L’alluvione di dischi importanti che inonderà il mercato nel giro di un paio d’anni sarà così dirompente che la stella di Beck ne uscirà oscurata, ma nel maggio 1966 sembra che le sorti del blues rock riposino nelle sue dita e in quelle dei suoi compagni; è per questo che Beck’s Bolero sembra rappresentare lo stato dell’arte e il futuro, e ancora oggi è difficile capire la mutazione del blues rock in hard rock e poi in heavy metal senza passare per questi solchi.

Il brano, si dice (lo dice lo stesso Beck anni più tardi), è stato scritto da Jimmy Page, il quale si è fissato su un pezzo di chitarra ritmica basato su Boléro di Maurice Ravel; vorrebbe tirarne fuori qualcosa. E fin qui tutto bene, chiaro quasi come il sole. Tutto ciò che viene dopo – da chi ha scritto il resto del pezzo a chi l’ha prodotto – è controverso, ma diciamo che potrebbe essere andata così: Page sta suonando insistemente il pezzo di Ravel con infinite, piccole variazioni; a un certo punto interviene Beck che gli dice qualcosa del tipo: «ooook, fuck this shit man, a un certo punto devi cambiare ritmo, non puoi andare avanti col bolero all’infinito». E fu così che venne introdotto lo stacco e ripartenza alla Yarbirds, il cambio di tempo e la seconda parte più dura. Ci sta che sia andata così: è realistico, non trovate?

Chi suona il pezzo è invece certo: lo stesso Beck alla chitarra slide e al fuzz, Jimmy Page alla dodici corde, Keith Moon alla batteria (che nei crediti, per ragioni contrattuali e per non far incazzare Townshend, apparirà come «You Know Who»), John Paul Jones al basso e Nicky Hopkins al piano – da notare che nel 1966 Jones e Hopkins sono dei signori nessuno che lavorano come musicisti negli studi dove venne registrato il brano, gli IBC Studios. La leggenda racconta che il magico gruppetto avrebbe potuto diventare una band, ma che i laccioli contrattuali erano troppi e comunque mancava il cantante, perdio. La storia comunque prese altre strade: la pericolosa spaccatura degli Who che aveva avvicinato Moon a Beck si ricompose, Page entrò negli Yardbirds e più tardi si unì a Jones trovando la quadratura del Dirigibile, al quale quel geniaccio di Keith Moon (complice Entwistle? Non si sa) lasciò in eredità il nome. Il brano verrà pubblicato solo l’anno seguente, finendo sul lato B del primo singolo del Beck solista, Hi Ho Silver Lining. Solo nel 1968 farà infine la sua apparizione su Truth. Tra parentesi, ma letteralmente: How Many More Times, il brano che chiude il primo album degli Zep, uscito il 12 gennaio 1969, contiene un frammento di Beck’s Bolero nel pezzo centrale.

Tornando alle registrazioni, c’è un aneddoto che merita di essere raccontato. Keith Moon è incazzato e gasato (lo avete mai visto tranquillo quello lì?), gli piace l’idea della pausa e della ripartenza in quinta, la sente sua. Si gasa così tanto che quando la band arriva a fare l’inversione a U, più o meno a metà del brano (minuto 1:31), dà il segnale del cambio di rotta urlando a squarciagola, si alza dal seggiolino e colpisce con una bacchetta il microfono della batteria, lasciandolo a terra e muto. Da quel momento in poi, sostiene Beck, «sentirete solo i piatti»; in realtà Moon ci dà dentro e si sente anche il resto, ma comunque lo scarto si avverte. Non è bellissimo tutto ciò? Be’, vi lascio con la canzone: la versione mono del singolo, perché c’è una bella coda di chitarra invertita. La trovate nell’edizione in CD con tracce bonus uscita nel 2006 e nella ristampa del vinile marchiata Sundazed, se mai vi venisse in mente di acquistare il disco.

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